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Recentemente, su “Il Post” è uscito un articolo relativo a Calm e alle applicazioni di meditazione dal titolo “Il paradossale successo delle app di meditazione: promettono di rilassare sfruttando gli stessi dispositivi responsabili di molte angosce, e con la pandemia stanno andando forte” (consultabile a questo link: https://www.ilpost.it/2021/06/15/app-meditazione/). 

Il contributo è particolarmente critico, e sollecita un ragionamento sulle potenziali problematiche riguardanti i tool digitali studiati per la promozione del benessere (accademicamente noti come Tecnologie Positive).

Siccome anche Mind Your Time è una tecnologia positiva, il cui fine è di promuovere il benessere, soprattutto migliorando la relazione con i nuovi media, riteniamo costruttivo condividere alcune riflessioni circa gli argomenti sollevati dall’autore dell’articolo. In questo modo, cogliamo l’occasione per evidenziare certi elementi essenziali della filosofia di Mind Your Time, suggerendo l’instaurarsi di un dialogo necessario data l’attualità di questi temi.

Iniziamo dal sottotitolo: “Calm e app simili promettono di rilassare sfruttando gli stessi dispositivi responsabili di stress e angosce”.

Effettivamente, il modo in cui utilizziamo i device nella quotidianità è spesso fonte di stress, cali di concentrazione e malessere psicologico. Ciò dipende da due fattori. Il primo è relativo al modo in cui la tecnologia è progettata. Per esempio, le app monetizzano in base ai tempi di utilizzo e alle dimensioni dell’utenza, perciò vengono studiate per magnetizzarne l’attenzione. In secondo luogo, giocano un ruolo fondamentale le sotto-culture mediali, ovvero gli stili di vita instaurati e condivisi da una comunità digitale. Un esempio iconico è la necessità di essere sempre connessi e reperibili per evitare l’ostracizzazione e sentirsi parte integrante del gruppo sociale.

Quindi, per trasformare l’impatto che la tecnologia ha su di noi esistono due livelli d’intervento: uno a monte e l’altro a valle. Il livello a monte riguarda le assunzioni etiche alla base degli scopi e delle funzionalità di una tecnologia, che dovrebbero essere guidate da due criteri: la sostenibilità psicofisica nel tempo e la promozione del benessere. Ciò dovrebbe essere quindi oggetto di ricerca, regolamentazione istituzionale ed etica aziendale da parte delle big del digital, sfera decisamente distante dalle responsabilità del mercato delle app di mental health.

Il livello a valle, invece, riguarda la gestione delle conseguenze negative di come la tecnologia è progettata e attualmente utilizzata. In questo senso, i dati mostrano come una porzione significativa dell’utenza veda il suo benessere inficiato dai nuovi media, e questo è un problema esplicito che necessita soluzioni immediate, come quella proposta da applicazioni tipo Mind Your Time.

A questo punto, è necessario porre una distinzione tra benessere mediale e benessere mediato.

Il benessere mediale riguarda la gestione ottimale dello spazio che la tecnologia occupa nei contesti quotidiani (spazio che senza dubbio è aumentato vistosamente con l’avvento del Covid-19, ma che sempre più aumenterà al netto della pandemia). Da questo punto di vista, Mind Your Time, per come è progettata e per i contenuti di psicoeducazione che propone, intende aiutare gli utenti a migliorare il proprio media balance, insegnando a riconoscere quand’è il momento di andare offline e ripristinarsi attraverso le strategie più efficaci.

Il benessere mediato, invece, riguarda l’utilizzo di tool tecnologici per fornire agli utenti esperienze di benessere, come pratiche di meditazione e rilassamento.

In effetti, la quasi totalità delle applicazioni di mental health come Calm, propongono esperienze di benessere mediato senza però porre attenzione al benessere mediale.

Un ulteriore punto sollevato nell’articolo riguarda quello che gli autori definiscono sarcasticamente come “monetizzare il fare niente”. Effettivamente, la sfida che le pratiche meditative portano, da migliaia di anni, riguarda proprio il riuscire a scegliere di fare una pausa e dedicarsi del tempo definalizzato.

Infatti, come mostrato da diverse evidenze scientifiche, il “fare niente” diventa estremamente utile e funzionale nella misura in cui, quotidianamente, siamo portati a fare troppo: viviamo nella società della performance, dove ognuno è incline ad agire in continuazione. Questo costituisce un’importante fonte di stress e, per favorire un positivo riequilibrio e ripristino delle nostre risorse psicofisiche, è essenziale imparare il valore del fermarsi e “fare nulla”. Peraltro, questi momenti non costituiscono un vero e proprio “fare niente” perché rappresentano una forma di attiva costruzione del proprio benessere. Sviluppare queste abitudini non è scontato ma richiede una pratica costante, un’attitudine che la tecnologia può aiutarci a sviluppare

Tra le altre cose, nell’articolo si accusano le applicazioni di benessere di insegnare agli utenti la pratica della consapevolezza su schermi che uccidono tale consapevolezza. In effetti, i device possono arrivare a inficiare la cognizione degli utenti. I manager di Calm rispondono a questo argomento spiegando che dipende semplicemente da come gli strumenti sono utilizzati, ma a nostro parere tale visione risulta riduttiva e deresponsabilizzante. Infatti, come detto prima, dipende anche dal modo in cui i device e i relativi contenuti sono progettati: quegli schermi possono diventare addirittura promotori di consapevolezza se elicitata e coltivata correttamente. Per esempio, accorgersi degli automatismi nell’uso della tecnologia, e dello spazio che questa occupa nella nostra quotidianità, può costituire uno stimolo che al contrario apre alla consapevolezza di sé. Questa è la nostra idea di tecnologia positiva. Mind Your Time, infatti, mira sì a ingaggiare l’utente ma rendendolo allo stesso tempo autonomo e conscio, generando un buon rapporto tra nudging (induzione comportamentale) e boosting (azione consapevole).

L’articolo, poi, contestualizza l’affermarsi del mercato delle mobile health application connettendolo esclusivamente al contesto pandemico. Sicuramente l’emergenza sanitaria ha aumentato esponenzialmente i bisogni relativi al benessere mentale (a proposito, ben vengano applicazioni come Calm che, per quanto non comportino la stessa efficacia di un intervento in presenza, permettono agli utenti di iniziare a prendersi cura di sé ad un prezzo accessibile e ovunque siano). Tuttavia, il bisogno di benessere a cui rispondono queste applicazioni, tra le quali Mind Your Time, si è sviluppato da tempo ed è stato solamente incentivato dalla pandemia. Infatti, ulteriori cause originarie di tale necessità possono essere altre: la mancata promozione del work life balance nella società post-industriale e l’inefficace gestione dell’iperconnettività nell’era della digital transformation.

Relativamente al tema del benessere mentale, all’interno dell’articolo si fa riferimento a una vera e propria forma di ossessione dilagante. Dal nostro punto di vista, si tratta di un fenomeno che è fallace definire così: è piuttosto un bisogno significativo connesso al modo in cui viviamo nella società contemporanea. Il fatto, poi, che efficaci pratiche non proprie della nostra cultura (come la Mindfulness) diventino un trend, può in realtà costituire una positiva occasione per migliorare la qualità della vita delle persone; perché non coglierla?

In conclusione, viene sollevata una critica verso l’efficacia delle esperienze meditative proposte dalle applicazioni. Si spiega infatti come non esista un solo modo per meditare e si riportano evidenze empiriche relative alla maggiore superficialità dei contenuti in app rispetto alla pratica in presenza. Ciò è assolutamente vero: un’esperienza digitale non potrà mai sostituire un’esperienza fisica. Dal nostro punto di vista, però, è necessario fare una specifica: innanzitutto, proporre tali servizi attraverso il canale digitale ne permette l’accesso a chiunque, in qualunque luogo o momento, evitando che queste pratiche diventino una risorsa a disposizione di pochi eletti. Inoltre, Mind Your Time, per compensare la formazione in presenza, conduce gli utenti attraverso un vero e proprio percorso di apprendimento delle tecniche proposte. Ognuna di queste poi, è introdotta e conclusa da pillole che ne spiegano il senso e lo scopo. Infine, per facilitarne l’applicabilità alla vita quotidiana, Mind Your Time offre diverse pratiche (non solo Mindfulness ma anche rilassamento, attivazione, visualizzazione, focusing, scrittura espressiva) proposte in più varianti di ogni esercizio, assecondando così le preferenze e predisposizioni dello specifico utente.

Ovviamente, tutto ciò non è comunque sufficiente a compensare l’efficacia di un intervento in presenza. Quindi, consapevoli che non si possa esaurire il tema della costruzione del benessere psicofisico e digitale con una semplice applicazione, i fondatori di Mind Your Time, dottori in Psicologia per il Benessere, propongono sedute, percorsi ed esperienze dal vivo proprio attraverso l’app, che in tal modo diventa uno strumento a supporto del lavoro svolto in presenza.

In sintesi, abbiamo mostrato come le conseguenze negative dell’utilizzo della tecnologia, sia in termini di condizione psicofisica che di autoconsapevolezza, possano essere in realtà gestite grazie alla tecnologia stessa, a patto che si ponga attenzione al benessere mediale in fase di progettazione. Quindi, nel momento in cui si imputano le tecnologie positive di sfruttare gli stessi principi (causa del malessere o della perdita di consapevolezza) che si propongono di modulare, bisognorebbe valutare caso per caso i criteri sui quali è basato il modello di funzionamento specifico.

Poi, abbiamo constatato l’importanza che nella nostra società dovrebbe ricoprire l’abitudine di dedicarsi delle pause di inattività e contemplazione: tale attitudine dovrebbe quindi essere incentivata e non sminuita. Inoltre, le nuove tecnologie, se ideate e usate con cortezza, possono acquisire un ruolo centrale nella promozione di questa pratica benefica.

Proseguendo, abbiamo sottolineato l’importanza di osservare dal corretto punto di vista il fenomeno della diffusione delle app di mental health. Identificarlo unicamente come frutto della situazione pandemica e definirlo come una forma di ossessione per il benessere, potrebbe comportare un mancato riconoscimento delle vere ragioni all’origine della sua nascita e, soprattutto, delle potenzialità positive che porta con sè.

Infine, abbiamo portato l’attenzione sul fatto che effettivamente le esperienze virtuali di meditazione non possano sostituire la pratica in presenza. Tuttavia, ciò non esaurisce il tema della loro utilità. Infatti, la digitalizzazione può aiutare a promuovere la diffusione di tali pratiche e, con una buona progettazione, il gap differenziante può essere minimizzato. Peraltro, una via non esclude l’altra: è possibile infatti ipotizzare un’armoniosa integrazione tra i due metodi, in modo che il virtuale ricordi e riaccompagni sempre al valore della relazione in presenza.

Il Team di Mind Your Time